Praeparatio ad fidem

Abatjour

Me l’ha regalato un confratello. Lo leggo ogni tanto: è un Trattato, e alla mia età i trattati vanno ingeriti con cautela. Ne pilucco poche pagine alla volta, e ogni volta vivo la stessa esperienza. L’esperienza della ‘eterogenesi dei fini’. Anche se l’avevano illustrata con ben altra profondità sia B. Vico che I. Kant, l’espressione viene attribuita al Wundt, uno psicologo empirico di terza fila, morto nel 1920, che con questa dicitura si è guadagnato un posticino tra gli immortali (si fa per dire); nella colonna ‘eterogenesi dei fini’ Wundt c’infilava tutti quei fenomeni’che possono classificarsi come ‘conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali’. L’autore del mio Trattato di Ateologia è Michel Onfray, un cinquantenne di Caen, un professore che ha dato vita a un’Università popolare per la diffusione dell’ateismo militante e ha scritto una cinquantina di libri con l’intento dichiarato di ‘destrutturare i monoteismi, smontare le teocrazie e guarire da quella nevrosi infantile dell’umanità che è la fede’. Eterogenesi dei fini. Più medito queste lezioni di ateismo e più sento crescere in me – non dico la fede, che è solo dono di Dio – ma il bisogno razionale di credere. Eterogenesi dei fini. Un’esperienza uguale e contraria a quella che faccio quando mi capita di ascoltare una conferenza di Antonio Socci: se non esco prima della fine, rischio di correre da don Mario Ceccobelli e riconsegnargli gli incarichi che mi ha affidato incautamente: proposito che ‘rientra’ se torno a piluccare le lezioni del mio caro maestro d’ateismo. Confesso che sono stato più volte tentato di offrire ai miei 17 lettori qualche collana di perle (coltivate) provenienti dall’acquario di Michel Onfray. Poi però ho desistito. Un po’ per gratitudine nei confronti del mio paradossale mentore. Ricordo un vecchio parroco che non riusciva a liberarsi da un’attempata signorina, slabbrata da un’inutile castità annosa, che a proprio uso e consumo l’aveva proclamato santo, e con esagerato fervore partecipava a tutte le messe celebrate da lui, e qualsiasi pretesto era buono per ronzare in sagrestia. A chi gli consigliava prudenza, il vecchio parroco rispondeva: praeparatio ad missam. Certe ‘tentazioni’ ispirano aneliti di cielo come nient’altro. Ecco, questo è per me Michel Onfray: praeparatio ad fidem. ‘br

AUTORE: a cura di Angelo M. Fanucci