Quaranta anni

Tanti ne son passati da quando, di ritorno da un pellegrinaggio a Lourdes, nacque la Comunità di Capodarco, nell’omonimo paesino tra Fermo e Porto San Giorgio (Ap). Quaranta anni. Era il 1966: un gruppetto di disabili, ‘sobillati’ da un giovane prete fermano, don Franco Monterubbianesi, stanchi dell’inerzia alla quale li condannavano da una parte l’anonimato dei vecchi istituti per handicappati e, su tutt’altro fronte, la famiglia, il cui calore li superproteggeva fino a soffocarli, decisero di andare a vivere insieme. Nel 1974, dopo tre anni di rodaggio a Fabriano, quell’esperienza viene trapiantata a Gubbio, nell’antico convento di San Girolamo, sul monte. Oggi le sorelle Clarisse se lo sono ripreso, mettendo sull’altro piatto della bilancia il grande monastero della Trinità, al centro di Gubbio, dove la Comunità si sta insediando. Quel manipolo di eroi (o di incoscienti?) ragionava molto. Troppo? Diceva che il problema non è la disabilità. La disabilità è… quello che è: uno stato fisico o psichico. Uno c’è nato, per un altro è stata la conseguenza di un trauma. Ma il problema – dicevano – non è tanto la disabilità. Il problema vero è piuttosto l’emarginazione, che nasce dalla reazione che la società e la sua cultura adottano nei confronti del disabile: lo confinano ai margini. Con un ‘sussidio’, che in realtà è un’elemosina, raramente succosa, più spesso misera. Cocco bello, sta’ a letto fino a mezzogiorno’ quando ti svegli trovi un bel biglietto di banca sul comodino, e non sei obbligato nemmeno a domandarti chi ce l’ha messo. Prendilo! E taci. E non dimenticarti di ringraziare. Il problema vero è il cinismo che minimizza: enfatizzando, ad esempio, l’abolizione delle barriere architettoniche. Sembra che quelli del disabile siano solo bisogni di tipo tecnico/riabilitativo/ lavorativo. E se avesse bisogno di una famiglia? Gli offri un pellegrinaggio? Un servizio a ore? Il problema vero è il custodialismo che discrimina, e dice (o più spesso fa capire) che, mentre tutti i cittadini meritano di essere promossi, con i disabili ci si può limitare a custodirli: se sopravvivono, è grasso che cola! E non si dimentichino di ringraziare. Come mai? Su questa filiera di domande sono nate le comunità di Capodarco. ‘Le’: al plurale; oggi in Umbria sono due: la Capodarco dell’Umbria, presieduta finora dallo scrivente, e la comunità di Capodarco di Perugia, presieduta da Francesca Bondì. Abbiamo fatto male a separarci? Fatte le dovute proporzioni, abbiamo seguito l’esempio (cattivo?) dei Francescani che si divisero quando il corpo di san Francesco era ancora caldo. Ma, ad onta delle divisioni, abbiamo pur sempre progetti di grande spessore da proporre ai nostri fratelli uomini e, in particolare, a coloro che si riconoscono in Cristo che libera, perché ha a cuore la libertà e la dignità di tutti.

AUTORE: Angelo M. Fanucci