Recondite ricchezze

abatjour

La prima delle “recondite richezze” de I Promessi Sposi, alle quali testé allusi, è la stima profonda che Manzoni ha per ogni uomo, eccetto il conte Attilio (del quale “quando s’è detto che è morto s’è detto tutto”); ne nasce la caratterizzazione icastica, anche se istantanea, di personaggi che appaiono solo per un attimo.Penso a Bettina, la “bambinetta” che lo sposo vestito da sposo, il giorno del matrimonio che sta per andare a male, incarica di recare un messaggio alla sposa vestita da sposa: “Salì le scale, lieta e superba” soprattutto perché la commissione era “segreta”; poi, come un forasiepe, “si cacciò nel crocchio delle donne, s’accostò a Lucia, le fece intendere accortamente che aveva qualcosa da comunicarle e le disse la sua parolina all’orecchio”. Penso all’anonimo frate dell’anonimo convento al quale padre Cristoforo aveva indirizzato Lucia, Renzo e Agnese dopo il trambusto della “notte degli imbrogli”. Prima di accompagnare Agnese e Lucia al convento della Monaca di Monza, il santuomo raccomanda loro: “State discoste da me alcuni passi, perché la gente si diletta a dir male, e Dio sa quante belle chiacchiere si farebbero, se si vedesse il padre guardiano per la strada, con una bella giovine… con donne, voglio dire”. E tu intravvedi un’educazione all’autocensura che riguarda, sì, gli sguardi che sbirciano, ma anche gli aggettivi che “involontariamente” qualificano ciò che “involontariamente” hai sbirciato. Ma è sul piano della visione della vita che le ricchezze recondite del Manzoni s’impongono. Il primato evangelico dei poveri. Renzo e Lucia non sono solo due bravi giovani; la loro grandezza, prima che sul piano morale, s’impone chiara e forte sul piano della visione della vita, poggia su quella metànoia nella quale Gesù ha identificato la vera conversione. Non solo vivono la loro storia da credenti, ma di quella storia sanno estrarre il sugo: il male (“i guai”), sia che uno se lo cerchi (come Renzo), sia che uno non lo cerchi affatto (come Lucia), è una presenza ineliminabile dalla vita umana, ma “la fiducia in Dio lo raddolcisce e lo rende utile per una vita migliore”. E quel primato del “vivere con i poveri” sul “vivere per i poveri”, che noi delle comunità di accoglienza esaltiamo tanto, Manzoni l’aveva ben chiaro quando metteva in scena il Marchese successore di don Rodrigo, che volle “assolutamente” servire il pranzo di nozze degli sposini nel suo castello, volle “assolutamente” servirli di persona, ma, arrivato il momento di mangiare, si ritirò con don Abbondio e altri notabili in una stanzetta a parte, perché “aveva abbastanza umiltà per mettersi al di sotto di loro, non abbastanza per mettersi alla pari”. Touché? Lo spero proprio.

AUTORE: a cura di Angelo M. Fanucci