Il sacro linguaggio del silenzio

Durante la messa ci sono alcuni momenti di silenzio, spesso però disturbati. Allora, non sarebbe meglio eliminare questi ‘vuoti’?

Il celebrare cristiano da sempre ha a che fare con il “corpo”. In primis perché è la Chiesa tutta che celebra, il Capo e le sue membra (1Cor 12), come fossero in un unico corpo armonico, infatti “le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa” (Sacrosanctum Concilium, n. 26).

Secondo, ma non per priorità, perché le azioni liturgiche vengono effettuate con il corpo. Se ci pensiamo bene, ogni celebrazione coinvolge il nostro corpo, si esprime attraverso di esso, recepisce attraverso i sensi.

Proprio su questa seconda dimensione vorrei soffermarmi, cercando di comprendere come ogni cosa che compiamo, ogni atteggiamento che assumiamo durante una celebrazione ha senso, facendo sì che non siano casuali.

Uno dei linguaggi rituali tipici della liturgia – cioè un atteggiamento che assume la comunità celebrante – è quello del silenzio. Sì, anche il silenzio è un linguaggio rituale; e ne parliamo per primo perché è quello con cui tutti, presbiteri e fedeli, abbiamo più difficoltà.

Siamo bombardati quotidianamente da parole e suoni, immersi nella “comunicazione”… Eppure la liturgia è una scuola dove si impara, o almeno si dovrebbe, che il silenzio stesso è comunicativo. Se pensiamo al silenzio come mera assenza di parole, non riusciremo a coglierne la portata. Non possiamo intenderlo solo così.

La tradizione biblica viene in nostro soccorso. Basti ricordare il dialogo tra Dio ed Elia riportato nel Primo libro dei Re (cap. 19): Elia percepisce di essere alla presenza di Dio non nel vento impetuoso, o nel terremoto, o nel fuoco, ma nel “sussurro di una brezza leggera” (v. 12, letteralmente “la voce del silenzio”). Questo significa che ciò che consideriamo semplicemente un momento in cui si tace, è in realtà il momento in cui si parla, e ancor più si ascolta.

Il silenzio orante è lo spazio – sebbene non l’unico – nel quale il Signore si pone in dialogo con noi. Per questo la liturgia è pervasa da momenti di silenzio, a iniziare dal silenzio che ci si impone, quasi in maniera naturale – o così dovrebbe – quando si entra in chiesa.

Ci si raccoglie, dopo esserci lasciati alle spalle il frastuono del mondo, per dare inizio al dialogo con Dio. L’ Ordinamento generale del Messale romano, al n. 45, indica gli altri momenti in cui nella celebrazione eucaristica “si deve osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione”.

E sottolinea come la “natura del silenzio” dipenda “dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica”.

Stare in silenzio nella liturgia, in fin dei conti, significa – paradossalmente – parlare e ascoltare.

Don Francesco Verzini