Sant’Ubaldo, secondo chek-up

Dicevamo: che splendido, esaltante il rapporto che nei secoli ha legato la Chiesa ai poveri! È il filo rosso della nostra storia cristiana. Ininterrotto. E con dei picchi altissimi. Vincenzo de’ Paoli: ‘Quando offrite un piatto di minestra ad un povero, ricordatevi sempre di chiedergliene scusa!’. Sant’Ubaldo: ‘Nullum oratorium sine hospitio’: non è giuridicamente possibile erigere un luogo di preghiera se lì vicino non’viene allestito un luogo di accoglienza ai poveri. ‘??Picchi’ di assoluta eccellenza. Dimensioni forti della vita cristiana, che possono (debbono) riproporsi anche oggi. Altrimenti a che serve un Santo? Quando dovesse perdere la sua carica provocatoria e propositiva, un Santo non sarebbe più tale, scivolerebbe dall’agiografico all’archeologico. Ma nell’oggi del ‘villaggio globale’ un santo va tenuto vivo’ globalizzandolo. Fu così che, qui a Gubbio, in occasione dei due Centenari ubaldiani di fine secolo (1992, centenario della canonizzazione; 1994, centenario della traslazione del Corpo sul Monte Ingino) la mia Comunità di Capodarco dette vita ad un’iniziativa ad Ibarra, città dell’Ecuador, dove già da anni era impegnata, a favore di un gruppo di disabili gravi e di una schiera di bambini abbandonati. E subito, al servizio di quel progetto, per iniziativa di valenti professionisti operanti in vari settori, nacque la Fondazione Baldassini. Oggi, dopo un durissimo periodo di crisi, i discapacitados di Ibarra hanno ripreso la cura della loro casa e le riunioni di verifica e di programmazione. Il Comitato per gli aiuti al Terzo Mondo della CEI ha approvato la prima tranche di un progetto che si concluderà con la costruzione di una piccola fabbrica di succhi e marmellate (l’Ecuador è la nazione che ha i frutti più saporiti e diversi). Non dargli il pesce, ma la canna da pesca, e insegnargli a pescare! Sull’altro fronte la Fundaciòn Cristo de la Calle di Francisco Santacruz e Claudia Ibadango accoglie bambini abbandonati, violentati, drogati con le colle o la benzina. Soli. Non meno di 200, non più di 210. Sono 60 le famiglie normalissime che, sostenute dalla Fundacion, li accolgono e li accudiscono in casa propria, almeno due alla volta, ma anche quattro, o anche otto alla volta. Quanto tempo ci vorrà perché la famiglia naturale sia in grado di accoglierli di nuovo? Due mesi, due anni, vent’anni. Ci vorrà… quello che ci vorrà. O forse non basterà nemmeno tutta la vita; ma quei bambini una loro famiglia ce l’avranno comunque. All’ombra della Capilla de san Ubaldo, un piccola chiesa (un 200 mq) che nelle sue linee architettoniche echeggia le linee del duomo di Gubbio, ho chiesto a Claudia: ‘Qual è il massimo dei vostri sogni?’. Luminoso, il suo sorriso: ‘Che ciascuno dei bambini che abbiamo salvato salvi, a sua volta, l0 altri bambini come lui’. Amabile lettore: un programmino coni i fiocchi, nevvero?

AUTORE: Angelo M. Fanucci