Supplente?

ABAT JOUR

Come va la storia dei crediti della tua comunità? E la denuncia a Napolitano? Va, va, ma sì che va, ma sì che va, te lo dice la Carrà, l’inossidabile Carrà: dove “inossidabile” rompe la rima ma ristabilisce la verità. Va. La Presidenza della Repubblica ha interessato la Prefettura di Perugia, la Prefettura di Perugia ha coinvolto i Carabinieri sia di Perugia che di Gubbio, ci hanno tastato il polso più volte, abbiamo attivato il soccorso di autorevoli amici, anche le più solenni scale del Vaticano hanno risuonato dei nostri problemi, pare che tutto si avvii a positiva soluzione. Pare. Io avrei preferito la soluzione Napolitano/Melfi, l’intervento calibrato non sulla necessità della sopravvivenza, ma sul primato della persona. Pazienza. L’amarezza è di lunga data, un sottofondo continuo, come di chi ha il fegato compromesso e non è che un goccio di rosolio possa essere la risposta. Va. Quello che non va, proprio non mi va, non mi va né su né giù, è quello che, in uno di quei momenti di confidenza che garantiscono l’autenticità del rapporto umano, mi ha sussurrato all’orecchio un autorevole Uomo di Chiesa: “Tu – m’ha detto – con il tuo impegno per i disabili, in fondo fai opera di supplenza nei confronti dello Stato”. Ahi ahi, signora Longari! Ahi ahi! Supplenza, supplenze, supplente: tutti nomi che nella gelida stagione della pallido-sorridente Gelmini fanno paura, quasi quanto l’altra parola, “precario”. Io sono andato in pensione da ordinario, 25 anni fa (ma cerco di restituire con la destra quello che rubo con la sinistra) e all’improvviso mi ritrovo supplente. Un tonfo. Un paio di vertebre incrinate. Supplente. Un tonfo. Se accettassi questo ruolo, dovrei dire ai miei confratelli sacerdoti e ai miei padri nella fede, i Vescovi, a loro che una volta all’anno, la sera del Giovedì santo, lavano i piedi a simulacri di poveri, dovrei dire loro: non v’azzardate a ripetere quel gesto durante l’anno, a lavare piedi veri di poveri veri: potreste essere accusati di supplenza; non tocca a voi, tocca a un uomo giustamente reso irriconoscibile dalla cuffia che porta in testa, dalla mascherina calata su naso e bocca, dall’anonimo camicione verde, dai guanti di latice usa e getta. Continuate, continuiamo a liturgizzare tutti i nostri gesti più impegnativi, tiriamoli fuori dalla vita e imbalsamiamoli nel balsamo profumato della Santa Liturgia prima che siano riusciti ad essere gesti di ogni giorno. Io continuo a dire che una Chiesa che non abbia al centro i poveri non è la Chiesa di Cristo ma una congrega di buontemponi.

AUTORE: A cura di Angelo M. Fanucci